Sedie a sdraio disposte a formare margherite, nel bel cortile del Maglio, a sud del complesso architettonico dell’ex Arsenale cinquecentesco di Borgo Dora a Torino, nella piazza centrale compresa fra quattro maniche perimetrali, con al centro il grande maglio che domina la scena del cortile coperto, sostenuto da alberi metallici inclinati. È il sistema scelto da Kristoff K.Roll per la performance A l’Ombre des Ondes, una “siesta scenica” che i francesi Carole Rieussec e J-Kristoff Camps adottano per i loro labirinti di teatro sonoro e composizioni elettroacustiche, costruiti, come si legge nelle note, per intersecare “tre stimoli diversi: quello del paesaggio in cui è immerso che finalmente può osservare nei dettagli; quello dei rumori che vengono catturati in diretta e rielaborati in forma di “drammaturgia sonora istantanea”; e infine l’ultimo, quello dei sogni raccontati prima da altri spettatori agli artisti i quali hanno frammentato e rielaborato le voci secondo percorsi di ascolto individuali, uno differente dall’altro, per ciascun partecipante alla siesta.”
Dapprima J-Kristoff, ed alla fine Carole, entrano nel campo visivo degli spettatori che ancora hanno gli occhi aperti, cominciando col battere il martelletto sui piloni di acciaio, entrando fra la gente nei locali, sfiorando la terra percependone i passi, ed i rumori si accavallano senza senso apparente, perché probabilmente il senso non va ricercato nella capacità della nostra mente di elaborare gli input sonori, bensì nell'esserci un ascolto universale e privilegiato, come un punto di captazione dell'essere delle cose che in sé conferisce potere, possibilità, o anche solo passività.
In cuffia, comincia il racconto di alcuni stati onirici, come il saltare da un'ombra all'altra portando con sé una bambina mentre le ombre rimpiccioliscono, una nonna che torna dopo la morte a disegnare con la nipote, una bambina che legge ad alta voce ed un uomo che nessuno sente quando chiede aiuto (gli altri non hanno buchi nelle orecchie e stanno solo al telefono), un aiuto che ottiene solo da alcuni cani che lo aiutano a librarsi in un volo nel cielo giallo fino ad un tunnel, e così via. Il tutto intervallato da elaborazioni acustiche di passi, voci, acqua e anelli, mentre la musica si diffonde come un'onda dopo aver gettato un sasso in uno stagno. E come occasionale quanto adatto condimento, il battito della pioggia sulla copertura del cortile, dovuto al temporale perfetto della serata.
Un progetto in situ, già molto ben accolto ad Avignone, in cui l'assenza di qualsivoglia elemento drammaturgico o anche soltanto consequenziale lascia la mente dei siesteurs sgombra di riferimenti, ovvero una predisposizione opposta rispetto a quella dell'attesa di un evento teatrale, una modalità per cui non si fa fatica a comprendere anche la difficoltà di taluni a ritrovarsi d'emblée su di una tavola da surf acustico ed esperienziale che porta fuori dall'intera quotidianità, pilotata dai due autori che giocano sul passaggio tra la vista e l'udito.